L’Accademia premia gli Ambasciatori nel segno del fondatore Orio Vergani
Il Presidente Petroni: “Tra le nostre associazioni c’è comunione di intenti per la valorizzazione e la tutela della cucina italiana”.
Intervista della giornalista MARIELLA CARUSO
Tutelare e valorizzare la tradizione italiana della cucina è uno degli obiettivi dell’Accademia Italiana della Cucina fondata da Orio Vergani il 29 luglio 1953. È dedicato a lui, scomparso nel 1960, il premio che dal 1984 viene attribuito a persone, enti o associazioni che abbiano onorato, con la propria attività, la cultura gastronomica italiana, in Italia e all’estero.
Quest’anno il premio, che consiste in una medaglia, un diploma di attestazione e in un assegno di 10.000 euro, è stato assegnato all’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto.
“Siamo stati partner dell’Associazione presieduta da Cristina Bowerman in alcuni eventi della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo e abbiamo avuto modo di conoscere professionisti che condividono i nostri stessi valori di promozione e salvaguardia del patrimonio gastronomico in Italia e nel mondo. Per questo abbiamo deciso di assegnare a loro il nostro riconoscimento”, ha spiegato il Presidente dell’Accademia, Paolo Petroni, consegnando il premio nel corso di una conferenza stampa organizzata al Romeo Chef&Baker, a margine dell’assemblea annuale degli Ambasciatori del Gusto.
Petroni, qual è l’attualità della figura di Orio Vergani?
“Vergani decise di fondare l’Accademia perché si era reso conto che le tradizioni gastronomiche si stavano imbastardendo: poteva farsi servire tortellini alla panna a Venezia, Milano o Roma, ma non i piatti locali, sostituiti da cocktail di scampi e riso pilaf con i gamberoni. Quel momento storico fu superato; poi arrivò la nouvelle cuisine con la riduzione delle porzioni, le presentazioni mutuate dalla cucina francese e fu un disastro. In seguito, per fortuna, c’è stata una rivalutazione delle cucine regionali tradizionali e una riscoperta degli ingredienti che oggi sono di gran lunga migliori di quelli di qualche anno fa. Oggi si ripropone un certo pericolo di imbastardimento della nostra cucina: noi italiani non ci rendiamo conto della sua forza e si rischia di seguire le mode internazionali. Se le grandi guide parlano bene della cucina del Nord o di quella sudamericana, i cuochi pensano che seguendo quei principi faranno successo. Ovviamente non diciamo no all’innovazione, ma bisogna stare molto attenti a non andare oltre i canoni della nostra cucina in nome della standardizzazione che, attualmente, è un grande rischio”.
Quali sono, secondo l’Accademia, i canoni cui la cucina italiana non può derogare?
“Innanzitutto il buongusto. Poi rispettare gli ingredienti: è inutile mettere nel piatto il cappero di Pantelleria o l’acciuga del Cantabrico e non avere la possibilità di riconoscerli al gusto. Il cuoco non deve travisare o alterare il sapore della materia prima ed è necessario che sappia rendere riconoscibile una ricetta tradizionale; per esempio, un’ottima carbonara può anche non essere fatta come quella delle trattorie romane, però è opportuno che ne ricordi il gusto”.
È opinione comune che non sia possibile codificare la cucina italiana…
“Non si può. La cucina italiana in quanto tale non esiste, per questo la nostra si chiama Accademia Italiana della Cucina e non Accademia della Cucina Italiana. La nostra non è nemmeno una cucina regionale, ma territoriale, perché spostandoci di pochi chilometri cambiano ricette e tradizioni. Io sono toscano, ma a Firenze c’è la ribollita e a Livorno c’è il cacciucco. Spesso l’Accademia è accusata di ingessare la cucina perché abbiamo depositato alcune ricette, ma lo facciamo soltanto per preservare il patrimonio storico, non certo perché tutti debbano eseguirle pedissequamente”.
Quali sono oggi gli obiettivi dell’Accademia Italiana della Cucina?
“Gli stessi del fondatore Orio Vergani: tutelare (quindi mantenere) e valorizzare (che significa andare avanti) la cucina italiana. L’altro grande obiettivo è far riconoscere la valenza della cucina italiana a livello europeo e dell’Unesco. Il riconoscimento Unesco alla “Dieta Mediterranea” come Patrimonio culturale immateriale dell’umanità è per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Noi italiani non siamo stati capaci di sfruttare gli studi che l’americano Ancel Keys ha fatto in Calabria. Anche quello che si crede un riconoscimento alla pizza è, invece, all’arte del pizzaiuolo napoletano”.
Essendo improbabile un riconoscimento alla “cucina italiana”, cos’è che potrebbe avere chance di riconoscimento?
“Di sicuro la pasta che, all’estero, identifica la cucina italiana la quale, nei ristoranti dei grandi alberghi, ha soppiantato quella francese. A far riconoscere che si è in presenza di un ristorante italiano è la scansione del menu con un antipasto, un primo e un secondo e l’inserimento in carta di una pasta o di un risotto”.