La dittatura degli chef
Stupisce la mancanza di flessibilità e l’imposizione del numero dei commensali per i quali una pietanza può essere preparata.
In principio era la Chateaubriand, piatto simbolo della cucina francese e internazionale, oggi purtroppo scomparso da tutti i menu dei ristoranti. La leggenda vuole che sia stato inventato dal cuoco personale del visconte François-René de Chateaubriand, più o meno a metà Ottocento. Si tratta di un taglio di carne di primissima scelta, ossia della testa di un tenerissimo filetto di manzo del peso di circa 500 grammi, cotto in padella e classicamente servito con verdure bollite e salsa bernese (anch’essa scomparsa dalle mense: quale cuoco oggi la saprebbe fare?). Sacrilegio sarebbe quindi dividerlo in due o tre per farne una misera porzione. Da qui l’obbligo di ordinare quel piatto per due persone, come, infatti, imponevano tutti i menu dell’epoca. Giustissima imposizione.
Tra le varie “pressioni” dei cuochi, è da ricordare il desueto “piatto del giorno”, per il quale, spesso, si tende a utilizzare ingredienti abbondanti che debbono essere smerciati, anche se, a volte, si impiegano, lodevolmente, prodotti di stagione o a buon prezzo in quel momento sul mercato.
Molto simile è il concetto del “menu del giorno” che, però, non pone vincoli sul numero dei commensali che lo ordinano. Veramente seccante è, invece, la diffusissima e attualissima abitudine di imporre il risotto almeno per due persone. Ciò avviene trasversalmente nei ristoranti medi e in quelli lussuosi. Tale assurda imposizione impedisce a un commensale di gustare un buon risotto. Scelta tecnicamente incomprensibile, dovuta solo a questioni organizzative di cucina e alla poca voglia di venire incontro alle esigenze del cliente. Ma ormai, nelle cucine, i piatti cucinati espressi sono quasi scomparsi, tutto è pronto, tutto viene assemblato.
Veramente imbarazzanti sono i tanto celebrati “menu degustazione”, i quali, con la scusa di far capire le capacità e la classe dello chef, impongono una dozzina, e più, di piatti, dagli antipasti al dolce, senza possibilità di fare sostituzioni o togliere qualcosa, obbligando per di più l’intero tavolo, si badi bene, non due persone, a ordinare quel menu che ha un costo che, nei ristoranti blasonati, batte sui 170-200 euro, più selezione di vini al bicchiere talvolta di ugual valore.
Alcuni chef, forse comprendendo il disagio, cominciano a proporre due o tre menu degustazione a prezzi crescenti. Quello che stupisce sono la totale mancanza di flessibilità e l’imposizione del numero dei commensali. Eppure oggi i ristoranti “stellati” hanno in cucina un numero impressionante di cuochi (tutti dotati di cappelloni un tempo appannaggio del solo chef di cucina, che oggi non porta più il cappello) in numero quasi uguale ai coperti in sala. Il vero problema, tuttavia, è che si sta perdendo l’abitudine a preparare i piatti espressi e si tende a lavorare in anticipo a causa dei sofisticati macchinari oggi disponibili in cucina, e troppo spesso i tanti cuochi lavorano a una sorta di catena di montaggio. Ultimamente, un noto ristorante milanese, celebre per la sua cotoletta alla milanese, ha scritto sul menu: minimo per due persone. Vera novità questa. Ordinandola, si capisce poi il perché: una cotoletta monumentale e squisita, bastevole non per due, bensì per quattro persone. Peccato, però, per il tapino cliente che si presenta da solo per gustare la celebrata cotoletta meneghina. Anche in questo caso un’opzione per lui ci vorrebbe.
Paolo Petroni
Presidente dell'Accademia